Ecco la relazione e il materiale didattico della prima parte dell’edizione della Scuola delle buone pratiche, che si è svolta venerdì 10 marzo 2017, dalle 10.00 alle 13.00, all’interno di Fa’ la cosa giusta! a Fieramilanocity. A breve anche la relazione con il materiale didattico sull’incontro del pomeriggio, che verteva sul tema della “Ricostruzione di una comunità dopo ferite come il terremoto”.
Quest’anno abbiamo parlato di territori, città, relazioni e bellezza. Perché abbiamo tutti bisogno di vivere meglio, di riscoprire la bellezza dei luoghi e dell’incontro, dell’amicizia e dell’etica. Infatti:
È la qualità della vita che appaga le persone che abitano i luoghi e attrae i turisti che li visitano; è l’autenticità delle relazioni e dei prodotti che crea nuovi modelli di sviluppo locale e turistico.
È la bellezza, con la diversità e la tipicità, stili di vita più semplici e naturali, che accresce il desiderio di riappropriarsi di ritmi, luoghi, sapori ed emozioni che rafforzano la qualità dei territori e spingono ad andare oltre e creare nuove reti di relazioni.
È la sicurezza dei luoghi che deriva dal rispetto della natura e della loro storia – anche idrogeologica – che rafforza comunità locali e reti economiche.
1. La fragilità che rigenera comunità, rafforza legami, costruisce storia e bellezza.
I migranti risorsa per la comunità: collaborazione negli scavi archeologici, nelle attività per il decoro urbano, nel giardinaggio, e nei lavori volontari… Con Andrea Bomprezzi, sindaco di Arcevia (Ancona)
È un giovane sindaco, Andrea Bomprezzi. Parla con calma e convinzione. Mostra foto a sostegno di quanto afferma, quasi a sottolineare che ciò che racconta è proprio vero, ne ha portato le testimonianze. E incanta il pubblico.
“Però! – si sente qualcuno dire al termine del suo racconto. – Sta’ a vedere che questi Comuni dell’Italia centrale hanno un bel po’ da insegnare a noi del nord, che pensiamo di essere sempre un po’ più avanti …”
Andrea Bomprezzi ha davvero tanto da insegnarci: come non spaventarsi di fronte ai migranti, come considerarli persone portatrici di diritti, che hanno vissuto enormi sofferenze, che giungono da noi con la speranza di poter accedere a un po’ di quella qualità della vita che hanno sentito raccontare, ma che per loro è un miraggio. Come accoglierli da persone civili. Un protocollo di accordo sottoscritto con il Prefetto e gli altri Sindaci per rendere chiare ed esplicite le procedure che consentono azioni per l’accoglienza e l’inclusione dei migranti, alcuni lavori a cui i migranti possono accedere. Perché “Ci sono due modi per affrontare il dramma dei flussi migratori – ha osservato il prefetto Raffaele Cannizzaro -: paura che siano compromessi principi, sicurezza di una comunità, o gestione del fenomeno con consapevolezza, saggezza, comprensione delle cause“. In attesa che si concluda la procedura di riconoscimento dei rifugiati, il protocollo si propone, in un’ottica di massima integrazione, di “costruire percorsi di conoscenza del contesto sociale in cui i migranti vengono accolti, con attività e servizi resi volontariamente alla collettività ospitante“.
Così i migranti aiutano nel decoro urbano, nel giardinaggio e nella carpenteria per fornire lavori volontari e integrativi rispetto a quelli già forniti dall’Amministrazione. “Vedere questi ragazzi sorridenti coadiuvare con entusiasmo i nostri operai per migliorare la qualità della nostra città è veramente emozionante – afferma il sindaco Bomprezzi. – Da un lato la comunità di Arcevia riconosce l’utilità sociale degli ospiti del Cara, e dall’altro i richiedenti asilo si sentono meglio integrati all’interno della comunità”.
“A Natale” – racconta ancora il sindaco e mostra le foto – i migranti hanno collaborato con altre associazioni per creare addobbi natalizi con soggetti scelti in modo da rispettare i credi religiosi di tutti. Dimostrando una bella capacità di rispetto degli uni verso gli altri!” . I ragazzi hanno dipinto più di mille pezzi per poi farne dono a tutta la comunità. Arcevia, dal canto suo, ha risposto con gratitudine, anche il più piccolo negozio ha trovato posto per accogliere in vetrina, o appesi sugli scaffali, angeli, stelle ed alberi.
Dall’intesa del Comune di Arcevia con la Soprintendenza Archeologica delle Marche si è strutturato un progetto importante per il museo di Arcevia, che, oltre a diventare luogo nevralgico di servizi, diventa anche un luogo di lavoro per i migranti ospiti del Cara che partecipano alle campagne di scavi. «Con l’Università La Sapienza di Roma – spiega il sindaco – abbiamo un progetto culturale: realizzare un Parco Archeologico sui Monti Croce e Guardia, all’interno della Gola della Rossa e di Frasassi. Monti che sono testimoni dell’età del bronzo con manufatti che segnano il passaggio dalle società di villaggio alle prime forme urbane delle popolazioni italiche».
E oggi, questi monti diventano testimoni di un’accoglienza, un’attenzione, un rispetto e un’apertura verso gli stranieri migranti, che diventano fratelli per la comunità e risorsa per guardare al futuro con maggiori aspettative per tutti.
Biografia partecipata di quartiere: a Legnano i cittadini fragili di un quartiere diventano protagonisti e portavoce della storia del quartiere stesso. Con Gian Piero Colombo, assessore alle politiche sociali del comune di Legnano (Milano), Elena Boldrin, Cooperativa Anfibia e Marco Zanisi, Cooperativa Serena
“E’ successo a Legnano”, ha raccontato Gian Piero Colombo, assessore alle politiche sociali di questo Comune. “Così, in modo naturale, senza alcuna forzatura, mentre si realizzava il progetto “Passaggi” co-finanziato dalla Fondazione Cariplo nel bando “costruire e rafforzare legami nelle comunità locali”. Eravamo nel quartiere Canazza, un tempo meta di immigrati italiani che qui venivano per lavorare e vivere, oggi destinato a un declino certo, testimoniato dalla chiusura di quasi tutti gli esercizi commerciali e da un progressivo allontanamento dal centro della città. Cinquemila circa i residenti attuali, per lo più anziani; case popolari abitate da persone fragili sia dal punto di vista sociale che culturale, molti gli stranieri. Il rischio vero è che gli abitanti si sentano soli, che non riescano a costruire legami sociali, che non si riconoscano come comunità. Allora abbiamo avviato il progetto, con l’aiuto di quattro cooperative e una rete di soggetti pubblici (Comune di Legnano, ASST ovestMilano, Istituto Comprensivo A. Manzoni), a commercianti e privati (associazioni ed enti no profit anche di respiro nazionale) che hanno deciso di collaborare.
Scopo del progetto è la rigenerazione dei legami tra i cittadini del quartiere, le realtà associative e cooperative, i commercianti. Protagonisti sono cittadini che frequentano il Centro Psico Sociale di Legnano, i servizi specialistici per le disabilità intellettiva e psichica. A loro si deve questa interessantissima Biografia partecipata di quartiere: la ricostruzione della storia del quartiere attraverso le testimonianze di chi vi ha abitato e lavorato, e le interviste eseguite da alcuni tra i cittadini più fragili, quelli del centro psicosociale. Una narrazione corale e condivisa, attraverso le persone e i luoghi che hanno fatto la storia del quartiere. Una modalità di lavoro che mentre rafforza e ri-crea legami, restituisce significato a luoghi ed eventi, rilancia il presente, restituisce valore e competenze alle persone, crea nuova comunità, muove verso il futuro”.
“Inimmaginabili i sentimenti dei ragazzi e delle ragazze, delle donne e degli uomini che, stigmatizzati un tempo per le loro difficoltà, sperimentano oggi la novità di essere riconosciuti nelle strade, nei bar, in chiesa, per il loro contributo alla ricostruzione della storia di tutti: da persone fragili a attori, reporter, falegnami protagonisti della storia del quartiere, dello spettacolo teatrale e della mostra che ne racconta le vicende. Un percorso di inclusione naturale, una grande opportunità per tutti. Fotografie e interviste, storie e immagini formano la mostra che, esposta in luoghi nevralgici del quartiere, raccoglie altre testimonianze, viene arricchita da altre vecchie fotografie. Partendo dalle interviste e dalle numerose narrazioni raccolte, si è costruita una complessa sceneggiatura biografica e popolare. Attori, sceneggiatori, costumisti, attrezzisti, trovarobe, non preoccupandosi del confine che la disabilità intellettiva solitamente impone, hanno lavorato come una squadra dove l’appartenenza a differenti categorie (psichiatri, educatori, volontari, infermieri, pazienti, cittadini) si è smarrita nel comune intento della riuscita di un progetto sognato e voluto insieme” ha raccontato Elena Boldrin, una delle protagoniste e delle animatrici di questo progetto attraverso la cooperativa Serena.
“E poi la Biografia Partecipata è stata inserita tra gli eventi promossi da “Me car Legnan, La città, le storie, il fiume”, un fitto programma che ha coinvolto tutti i Legnanesi sulle tracce della loro Biografia di Comunità. La mostra fotografica è stata esposta nei salotti buoni della città, lo spettacolo teatrale ha avuto un palco vero di un teatro vero con una platea vera a certificarne la bellezza. Ma non è questo che conta” ha precisato Marco Zanisi, altro importante protagonista di questa bella storia. “Quello che è davvero importante e che intendiamo storicizzare, attraverso un percorso semplice (sebbene nato da intuizioni geniali e condizioni drammaticamente favorevoli) è la possibilità per cittadini con importanti fragilità, di esercitare un ruolo sociale e di viverlo appieno. Le persone che frequentano i servizi specialistici per le disabilità intellettiva e psichica, stanno sperimentando la novità di essere riconosciuti, in strada, al bar, in chiesa, non solo per le proprie difficoltà ma soprattutto per il loro contributo, realmente unico ed inimitabile.
Riteniamo che, quanto accaduto in Canazza sia replicabile altrove e che la Biografia Partecipata possa essere un tramite estremamente utile per sperimentare e vivere la vera inclusione, ma non l’unico. Laddove una comunità ha modo di pensare e collaborare insieme, le persone con disabilità possono fare la differenza, nel raccogliere storie di vita oppure foglie secche, nel recitare oppure colorare e dare nuova vita ai muri spogli”.
2. Il processo partecipativo che riattiva territori, crea nuove economie e nuovi legami, supera vincoli, accresce bellezza e cultura
V@lli2 : il progetto di sviluppo locale integrato di Valletrompia e Vallesabbia (BS) finanziato da Fondazione Cariplo nel programma AttivAree per innescare un cambiamento che si basa su quattro filoni di azione: innovazione tecnologica, economia solidale, ricostruzione identitaria, tutela e sviluppo agroecologico del territorio. Con Fabrizio Veronesi, Dirigente Area Gestione Territorio della Valtrompia (Brescia), introduce Elena Jachia, Fondazione Cariplo
“Il progetto V@lli2 prende vita all’interno del bando Attiv-Aree finanziato da Fondazione Cariplo con l’obiettivo di invertire lo spopolamento e la perdita economica dei territori delle aree interne. C’è già in atto una politica nazionale e regionale per queste aree, obiettivo della Fondazione Cariplo è di ampliare gli effetti dell’attività pubblica allargandola al terzo settore per il rilancio storico delle “Aree interne”. In tal senso la Fondazione si pone come soggetto attuatore e catalizzatore di attori privati e pubblici per la costruzione di nuovi processi di comunità. Il progettto V@lli resilienti intende puntare sul rilancio agricolo e sulla sperimentazione di tecnologie informatiche per l’erogazione di servizi di prossimità, con il coinvolgimento delle cooperative locali, in una logica di attrazione di ulteriori investimenti esterni”: così Elena Jachia di Fondazione Cariplo ha presentato il progetto.
Per il rilancio delle aree interne, territori fragili di grandi potenzialità ma anche lontani dai centri di potere, è necessario valorizzare l’operato degli attori rilevanti che diventano guardiani del territorio e innovatori, mentre le aree diventano spazi di sperimentazione di nuove politiche inclusive (accoglienza dei migranti), di welfare di comunità (servizi per bambini e anziani), anche attraverso la tecnologia (banda larga come infrastruttura per nuovi servizi) e il ritorno all’agricoltura, alla pastorizia e alla cultura rurale.
“Il progetto vuol realizzare un cambiamento condiviso del territorio attraverso un processo partecipativo che coinvolga enti montani e cittadini, Comuni e terzo settore per ottenere più obiettivi attraverso poche grandi macroazioni. Vuol valorizzare spazi, ambienti e beni culturali a scopo turistico/economico, far nascere opportunità di crescita e rilancio con l’inserimento di disabili, persone svantaggiate e migranti per la valorizzazione di peculiarità rurali e la nascita di innovative nicchie economiche. Senza consumare nuovo suolo, ma riattivando aree abbandonate e dismesse” ha precisato Fabrizio Veronesi.
Si vuol perseguire un progresso sostenibile e responsabile, favorire una resilienza volta a guardare avanti, in un’area in cui il patrimonio naturale favorisce opportunità di inserimento e lavoro, appetibile per nuovi investitori attirati da un sistema burocratico più snello e dinamico, e nuovi residenti attirati da una qualità della vita piacevole e moderna.
Uno degli obiettivi è anche la valorizzazione dei prodotti locali, proponendo un marchio DOP per latte e derivati, la realizzazione di greenway turistiche enogastronomiche che seguono le reti ecologiche rappresentate dai corridoi fluviali, e la sperimentazione tecnologica della gestione integrata dei servizi pubblici. Un marchio dell’ospitalità sociale, rivolto agli esercenti che applicano logiche di rete di vicinato, inclusive di fasce di popolazione svantaggiata (adulti disabili) pone l’accento sulla coesione sociale.
Quando i vincoli di una Valle Patrimonio dell’Umanità vengono valorizzati per qualificare e incrementare l’offerta turistica e la qualità della vita locale. L’esempio della Val di Zoldo nelle Dolomiti, con Anna Zaccone (Consorzio Val di Zoldo turismo)
La bellezza mozzafiato delle Dolomiti, patrimonio mondiale dell’Umanità, insieme alle contraddizioni che può vivere una Valle al loro interno, ci è stata raccontata e mostrata da Anna Zaccone: “Una natura incontaminata a pochi chilometri dalle grandi vie di comunicazione, grandi spazi in cui vivono indisturbati caprioli e cervi, boschi e pascoli aperti dominati da eleganti massicci dolomitici: Zoldo è una valle autentica, in parte ancora selvaggia. Una vacanza in Val di Zoldo, nelle Dolomiti Bellunesi è un vero e proprio viaggio tra paesaggi incredibili, meravigliose atmosfere, nature incontaminate, panorami naturali e culturali unici al mondo sia in inverno che in estate. Ma la Valle, proprio per la sua posizione, rischia di restare isolata, a parte. In più, è all’interno di un territorio patrimonio dell’umanità, che non può essere sfruttato. Allora che fare per non abbandonarsi al declino? L’idea è stata quella di costituire un consorzio, il Val di Zoldo turismo, con la scommessa di incrementare il turismo e migliorare le condizioni di vita dei residenti valorizzando i beni esistenti senza interventi dannosi” .
Nasce così il Consorzio operatori turistici con lo scopo di costituire un’associazione unita e compatta che favorisca il turismo mediante il dialogo fra le istituzioni e tutti gli operatori economici della valle che magari da soli otterrebbero molto poco. Fanno parte del Consorzio le strutture ricettive, la società Val di Zoldo Funivie e le due scuole di sci, perché si è ritenuto che sia proprio da queste realtà che debba nascere un Consorzio che promuova il turismo. In seguito verrà estesa la possibilità di adesione anche agli altri operatori economici e si organizzano iniziative interne alla valle e dedicate ai consorziati stessi, sia formative che progettuali, con l’obiettivo di creare i presupposti di un’offerta turistica che valorizzi le caratteristiche che contraddistinguono la valle. Così i vincoli di questa valle, anziché mortificare la vita dei residenti con i soliti impedimenti imposti dai divieti, diventano risorse per valorizzare e fruire un patrimonio naturalistico che resta tale proprio perché vincolato.
Il ruolo dei Comuni per la costituzione di Associazioni Fondiarie volontarie, utili per rivitalizzare l’agricoltura nei luoghi montani e collinari, rafforzare legami fra proprietari e abitanti, migliorare la qualità della vita, conservare la bellezza del paesaggio rispettando le caratteristiche naturali dei luoghi. Con Andrea Cavallero, Dipartimento di Agronomia Università di Torino
Di enorme interesse la comunicazione del Prof. Cavallero su un’esperienza da noi ancora agli inizi, in Francia già attiva da decenni.
In Francia infatti le Associazioni Fondiarie esistono da circa 50 anni, da noi ne sono nate diverse in Piemonte grazie all’impegno di Andrea Cavallero, docente del Dipartimento di scienze Agrarie dell’Università di Torino. Altre, nel territorio nazionale, stanno discutendo la costituzione, sempre su impulso del prof. Cavallero.
Un’Associazione Fondiaria è una libera unione fra proprietari di terreni privati o pubblici, eventualmente patrocinata da un Comune capofila, che nasce con l’intento di raggruppare terreni agricoli e boschi, terreni abbandonati o incolti, per consentirne un uso produttivo ed economicamente sostenibile. I terreni conferiti all’Associazione, ma di proprietà di ogni singolo associato, vengono coltivati nel rispetto delle buone pratiche agricole, degli equilibri idrogeologici, della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, all’insegna dell’economicità e dell’efficienza della gestione.
La forza delle Associazioni Fondiarie sta nella disponibilità delle aree, molto più estese dei singoli appezzamenti che le compongono, nelle competenze dei tecnici che indicano i modi migliori e più efficaci di produzione, nella capacità di innovazione nelle attività da svolgere e nell’intercettare finanziamenti, e nella rete necessaria per vendere con profitto i prodotti.
Le esperienza fatte dimostrano che si può combattere lo spopolamento della montagna e delle colline, che si può ricomporre l’insieme delle proprietà frammentate e dei campi abbandonati senza interferire sul diritto di proprietà, che si possono rilanciare le attività agroforestali e pastorali, incentivare il turismo e le produzioni locali. La gestione di un territorio altrimenti abbandonato o sottoutilizzato, inoltre, è un modo intelligente non solo per rivitalizzare l’agricoltura di montagna, ma anche per garantire la conservazione del paesaggio e ridurre il rischio idrogeologico e di incendi.
Un ruolo molto importante nella promozione delle Associazioni Fondiarie lo hanno i Comuni o le Unioni comunali, che possono promuovere una cultura associativa tra i proprietari, ricoprendo un ruolo di garanti verso i proprietari, e offrendo un supporto informativo e tecnico alle associazioni rispetto alle aree incolte e abbandonate.
Dopo anni di crisi dell’agricoltura, dopo aver discusso a lungo di resilienza, di sovranità e sicurezza alimentare, finalmente esperienze concrete mostrano come il recupero di territori a lungo abbandonati possa consentire uno sviluppo più giusto e più sano.
Associazioni Fondiarie-Andrea Cavallero .ppt
Il progetto “Terra e cibo”, con Alessio Turati, vicesindaco di Albairate (Milano), e Davide Biolghini del Forum Cooperazione e Tecnologia
Milano è la città europea con il più ampio parco agricolo, eppure le difficoltà per coltivare prodotti in grado di nutrire Milano e le altre città e paesi del Parco Sud sembrano ancora insormontabili. Vengono tuttora privilegiate monoculture intensive, finalizzate alla nutrizione degli animali o alla produzione di biogas, non mancano però casi di sperimentazioni di agricoltura sostenibile o di conversioni al bio. Animatore di tali processi è il Forum Cooperazione e Tecnologia, una struttura di ricerca, sperimentazione e consulenza che offre supporto strategico a reti di attori sociali coinvolti in progetti condivisi.
Il progetto Terra e cibo nasce nell’Abbiatense, un’area tra il Parco Agricolo Sud Milano e il Parco del Ticino, e vuol promuovere nuove forme di agricoltura sostenibile che consenta la tutela dell’ambiente, la difesa del territorio e nuovi stili di produzione, consumo e accesso al cibo locale. Il progetto si propone la riflessione sui cambiamenti climatici e sul rapporto con l’agricoltura, ai fini di costruire comunità resilienti in grado di affrontare positivamente i cambiamenti che le aspettano. Le attività principali del progetto riguardano la mappatura di attori già in possesso di pratiche e conoscenze utili che possano avviare filiere agroalimentari sostenibili; la possibilità di stipulare patti tra consumatori, amministratori locali e agricoltori, per costruire un “Piano del Cibo” dell’Abbiatense, attraverso l’analisi e l’ascolto delle realtà locali; la connessione tra Piano del Cibo e i patti, le reti, i contratti che verranno avviati e sperimentati nel corso del progetto “Terra e Cibo” insieme con e gli Attori del percorso di resilienza.
Per il Comune di Albairate, finanziatore del progetto, è intervenuto il vicesindaco Alessio Turati, il quale ha illustrato i motivi per cui il Comune ha deciso di sostenere il progetto, e le aspettative che spera si realizzino.
Davide Biolghini, coordinatore scientifico del progetto, ha presentato le attività che svolge il Forum, all’interno delle quali si colloca il progetto terra e cibo: Parco delle lettere, Sels-sistemi di nuova economia, Filiere agroalimentari sostenibili, Orti urbani eco, Realsan, ecc. L’insieme dei progetti rende chiare le finalità dell’attività del Forum: coordinare, supportare, fornire sostegno scientifico a tutte quelle attività che sono in grado di trasformare un’agricoltura tradizionale in agricoltura sostenibile.
3. La cultura che rigenera persone e territori
La candidatura vincente di Matera Città della cultura europea 2019: Un processo di partecipazione che ha costruito una comunità attiva che vuole realizzare reti con altre comunità. Con Paolo Verri, Direttore Matera 2019
Ci ha davvero incantati Paolo Verri, Direttore generale della Fondazione di partecipazione Matera-Basilicata 2019. Non ci sono parole per descrivere il groviglio di emozioni, la ventata di speranza e fiducia, la prospettiva di un futuro possibile non solo per Matera ma per l’Italia tutta, che abbiamo vissuto durante quegli attimi di ascolto così intensi. Con le competenze e l’entusiasmo di Paolo Verri, che ha raccontato Matera, siamo stati trasportati in uno spazio tempo che ci coinvolge tutti.
Open future, è il tema centrale della candidatura. Creare cultura aperta, nei confronti dei pensieri e delle sensibilità di tutti, accessibile, disponibile al dialogo. Un modello per Matera, l’Italia, l’Europa.
Cinque i passaggi per costruire insieme l’Open future. Passaggi che si dispiegano attraverso la volontà di tenere insieme poli apparentemente inconciliabili.
Futuro remoto: le radici di Matera, le pratiche economiche, sociali e culturali antiche, oggi possono essere le radici di un modello di sviluppo europeo basato sulla condivisione: delle pratiche ecologiche e dell’economia agricola, ma anche delle modernissime pratiche di vicinato e di co-working. Dove convivono la secolare Festa della Bruna, con i suoi pastori, i cavalieri e le confraternite, e il Centro di Geodesia Spaziale, una delle principali strutture di ricerca e trasferimento tecnologico nel Mezzogiorno voluto dal CNR, dalla regione Basilicata e dalla Nasa, si può pensare a come vivere i prossimi mille anni ancorandoli agli ottomila anni di storia già vissuta.
Radici e percorsi: terre che sono state di passaggio, di scambi e trasformazioni, di influenze della Magna Grecia, di Roma, bizantine, longobarde, arabe, normanne e sveve, di immigrazioni ed emigrazioni, possono aiutarci a capire come vivere le trasformazioni dell’oggi.
Riflessioni e connessioni: arte, economia, abitare, ambiente sono un tutt’uno. La candidatura di Matera non è fatta di grandi eventi, ma di cittadinanza culturale, in grado di immaginare nuovi modelli di vita, cultura ed economia.
Continuità e rotture: L’esodo dai Sassi negli anni ’50 e ’60 è emblema di una rottura, di un collasso della comunità, e nello stesso tempo simbolo della capacità della comunità di resistere e riadattarsi e continuare a vivere. Un percorso che, in forme e situazioni diverse, ci aspetta tutti. Un percorso che richiede sperimentazione, adattamento, resilienza, speranza e fiducia. Da Matera possiamo apprendere.
Utopie e distopie: Matera può diventare città-simbolo di tutte le culture dimenticate, di tutti i Sud del mondo, portatori però di valori che possono sviluppare progetti in grado di produrre un nuovo modello di sviluppo culturale e sociale.
Tutte le azioni volte alla candidatura inoltre hanno avuto l’obiettivo di coinvolgere e far partecipare tutte le istituzioni e le associazioni esistenti tradizionali, che a loro volta hanno iniziato a modificare le proprie procedure.
E la giuria ha premiato l’obiettivo visionario di Matera, di volersi porre alla guida di un movimento che vuol abbattere gli ostacoli di accesso alla cultura soprattutto attraverso nuove tecnologie e processi di apprendimento; ha premiato la politica di inclusione e l’intenzione di porre la partecipazione in primo piano, e il programma di Matera pensato come parte di un piano strategico per lo sviluppo della cultura, del turismo e del territorio e non come semplice candidatura per una competizione.
DossierMaTera 2019_openfuture_ita
Come il Festival della taranta rigenera e unisce comunità e territori. Con Ivan Stomeo sindaco di Melpignano (Lecce)
E’ stata un’edizione della Scuola incredibile, questa del 2017: da un racconto all’altro siamo passati da un paese d’Italia a un altro, da una realtà all’altra, tutte contrassegnate dal fatto di avercela fatta: ad affrontare la crisi, a coglierne le opportunità inventando modi diversi di essere sindaci nelle proprie comunità e nei propri territori. Otto anni fa dicevamo: non dobbiamo lasciarci sopraffare dalla crisi, dobbiamo vedere le novità che ci porta, nuovi modi di vivere, nuovi modi di interpretare relazioni e rapporti. Dopo otto anni siamo in grado di vedere i prodotti della crisi, quante opportunità, quante novità, quanti modi più belli e più veri di vivere la vita, di vivere i rapporti con gli altri e con i territori. Tutto questo lo abbiamo vissuto nella mattinata del 10 marzo, ascoltando attenti un racconto di seguito all’altro.
Questi pensieri venivano in mente nell’ascoltare Ivan Stomeo, il Sindaco di Melpignano che ci parlava della Taranta, questa musica e questo ballo antichi legati a tradizioni ataviche e anche un po’ problematiche, che sono stati riconosciuti come patrimonio culturale e offerti non solo al territorio d’origine, ma anche a tutti gli altri.
Così il Festival della Taranta che coinvolge ogni estate 12 comuni e richiama migliaia e migliaia di turisti, si propone sia come riscoperta di una musica popolare, sia come riscoperta di tradizioni e della lingua grika che costituisce l’identità di territori e persone, sia come veicolo di sviluppo moderno dei territori.
L’obiettivo della Notte della Taranta, un festival di musica popolare salentina, mixato nel tempo con l’apporto di altri linguaggi musicali, vuol valorizzare la cultura che ha sempre contraddistinto il Salento: il recupero di un dialetto, un cibo, una lingua, un costume, una danza, una musica che, con l’apporto di musicisti di fama internazionale, riporta alle radici della propria storia, e apre a storie nuove e diverse. Aprendo allo sviluppo dei territori nella valorizzazione dei saperi antichi.
Dal festival a un’idea di città sostenibile: Borgofuturo e la trasformazione del centro urbano in luogo di relazioni e di immaginazione. È il messaggio di Ripe San Ginesio, con Paolo Teodori, sindaco di Ripe San Ginesio (Macerata)
Era profondamente emozionato il Sindaco Paolo Teodori mentre raccontava il suo piccolo comune, e il Festival che lo ha trasformato da un piccolo centro della provincia italiana a un modello di sviluppo sostenibile del territorio. L’occasione è stata data dal Festival Borgofuturo, il festival della sostenibilità a misura di borgo, che si basa su due azioni: valorizzare le risorse umane, tecniche, economiche e infrastrutturali esistenti rafforzandone le componenti innovative e sostenibili, e al tempo stesso accogliere le realtà più virtuose con cui Ripe San Ginesio è venuto a contatto attraverso il festival. La storia di Ripe San Ginesio e del Festival Borgofuturo è strettamente legata alla rigenerazione e alla sostenibilità. Il comune, che sorge ai piedi degli Appennini dell’interno marchigiano, ha un impianto fotovoltaico comunale per assicurare l’energia alle utenze comunali come uffici pubblici ed illuminazione stradale; la scuola elementare è ad alta efficienza energetica; ha un impianto solare termico per produrre acqua calda per la palestra e l’asilo nido; i lampioni e i lumini del cimitero sono a led; la raccolta differenziata è pari all’85%. Inoltre, grazie a fondi europei, l’amministrazione di Ripe San Ginesio ha messo in sicurezza una ex cava dal dissesto idrogeologico realizzando, in modo sostenibile, un’arena all’aperto che d’estate ospita concerti e spettacoli di artisti italiani e internazionali. Progetti prossimi sono il recupero di spazi inutilizzati del centro storico per renderli efficienti dal punto di vista energetico: i locali ristrutturati sono a disposizione di giovani imprenditori, artisti e co-worker, per creare contatti fra chi lavora in proprio e portare nuova linfa al borgo.
Ripe oggi è in grado di ospitare nei suoi spazi antisismici gli studenti dei paesi circostanti con strutture inagibili, e, grazie ai soldi generati dal parco fotovoltaico comunale, l’amministrazione ha potuto chiedere un prestito per mettere in sicurezza la scuola, che ora è un edificio sicuro.
Ripe domani si muove verso la definizione di un borgo ideale, caratterizzato dall’accoglienza, la solidarietà, l’inclusione sociale; un borgo che sostiene l’economia locale, che punta sulla cultura, che tutela patrimonio e ambiente, che promuove turismo sostenibile.
Tutto questo in un borgo, oggi, di 800 abitanti. Se questo accade a Ripe San Ginesio, c’è davvero speranza per tutti: occorrono solo la lungimiranza, la caparbietà, la capacità di confronto e coinvolgimento dei cittadini, e l’umiltà come quelle di questo grande sindaco, che con tanta modestia è venuto a raccontarci come è, cosa fa, come vive e progetta Ripe.